Si chiamano Aziz, Prince, Joumana, Oleksandra, Nse, Dasha, Moussa e Lamin, e arrivano da Afghanistan, Nigeria, Libano, Somalia, Ucraina e Egitto.
Sono giovani richiedenti asilo e rifugiati. Hanno storie diverse alle spalle e un presente che li accomuna sotto un talento che si chiama musica.
Siamo al Teatro San Salvatore di Bologna, un teatro del ‘500, situato all’interno dell’imponente complesso conventuale di San Salvatore. Un posto pieno di fascino, con il soffitto a cassettoni, gli affreschi e i colori sgargianti.
Oggi c’è uno degli incontri di One Beat, il laboratorio musicale della compagnia bolognese Cantieri Meticci organizzato in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato del 20 giugno. E’ un percorso articolato, dove ciascun partecipante mette un pezzo di sé attraverso uno o più linguaggi musicali.
“Individuiamo un tema, ci ragioniamo sopra e poi scriviamo un testo cercando di uscire dai cliché” mi racconta Giorgio Cencetti alias DJ Farrapo, musicista e produttore musicale, “Poi ci mettiamo sopra una base, la arrangiamo e tiriamo fuori un pezzo”.
Come quello che sto ascoltando ora: sonorità afro beat con influenze trap e reggaeton. Un tiro che ti prende da subito. Qualcuno segue con il Djembe, qualcun altro suona un flauto. Chi non ha in mano uno strumento si è messo in cerchio. Parte un clapping cadenzato. Poi, a turno, si staccano dal cerchio, e vanno a improvvisare un testo davanti all’occhio della GoPro posizionata al centro. Minuto dopo minuto il pezzo prende forma, il beat coinvolge tutti e funziona.
Nel frattempo c’è anche un videomaker che riprende tutto. Si chiama Oscar Serio e alla fine del laboratorio produrrà un video che racconterà questa esperienza. Mi racconta che far vedere a questi ragazzi e a queste ragazze come funziona la produzione musicale, ma anche la costruzione dell’immagine che c’è dietro, serve anche a smascherare un po’ della cattiva musica che piace tanto oggi. “Se capisci il trucco, riesci a valutare meglio quello che hai davanti agli occhi”.
Tra i più entusiasti del gruppo c’è Omar, 19 anni, somalo, in Italia da 2 anni: “Cantare è il mio sogno. Mi piace un sacco. I miei generi preferiti sono il Rap, l’Hip-Hop e la Trap” e mentre me lo dice batte il tempo con il piede. “Qui ci stiamo divertendo molto”.
Omar con il suo piglio coinvolge anche i colleghi più timidi. Canta qualcosa che alle mie orecchie suona come Baby Kale, Baby Kale, e che dice significa Baby vieni qui.
Tra il gruppo dei più timidi c’è apparentemente Aziz, che viene dall’Afghanistan, ma quando canta diventa un’altra persona. Il suo mood melodico mi ricorda il deserto. La sua performance musicale è di altissimo livello.
“Sono molto contento di poter intercettare dei talenti. E credo che sia fondamentale che in questa città i ragazzi e le ragazze di talento abbiano la possibilità di coltivarlo” – mi dice Pietro Floridia, regista e drammaturgo di Cantieri Meticci – “Non solo chi può permetterselo”, continua, “questi laboratori vogliono offrire quel sostegno che spesso in Italia manca, e colmare questa lacuna”.
Finisce che ci salutiamo con un po’ di dispiacere. Due ore passano via veloce, ma il laboratorio andrà avanti ancora per altre ore. Ce ne vorrebbero altre ancora, e altre, e altre e altre ancora.
Il laboratorio musicale One Beat è stato finanziato dal Consorzio l’Arcolaio all’interno del Lotto 7 Comunicazione del progetto SAI Città metropolitana di Bologna.